Mozart-La clemenza di Tito

LA CLEMENZA DI TITO

Opera seria

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Libretto: Caterino Mazzolà (based on Pietro Metastasio)
First performance: Prag, 1791
Consulted source: Printed libretto, Prag, 1791
Reference copy: Staatsbibliothek, Berlin

Image: Giambattista Tiepolo, Muzio Scevola davanti a Porsenna, Museum Hermitage, Saint Petersburg

 

 

SCENA I
Vitellia, Sesto
Recitativo
VITELLIA Ma che? Sempre l’istesso,
Sesto, a dir mi verrai? So che sedotto
fu Lentulo da te, che i suoi seguaci
son pronti già, che il Campidoglio acceso
darà moto a un tumulto. Io tutto questo
già mille volte udii; la mia vendetta
mai non veggo però. S’aspetta forse
che Tito a Berenice in faccia mia
offra d’amor insano
l’usurpato mio soglio e la sua mano?
Parla, di’: che s’attende?
SESTO Oh dio!
VITELLIA Sospiri!
SESTO Pensaci o cara,
pensaci meglio. Ah non togliamo in Tito
la sua delizia al mondo, il padre a Roma,
l’amico a noi. Fra le memorie antiche
trova l’egual, se puoi. Fingiti in mente
eroe più generoso e più clemente.
Parlagli di premiar; poveri a lui
sembran gli erari sui.
Parlagli di punir; scuse al delitto
cerca in ognun. Chi all’inesperta ei dona,
chi alla canuta età. Risparmia in uno
l’onor del sangue illustre; il basso stato
compatisce nell’altro. Inutil chiama,
perduto il giorno ei dice
in cui fatto non ha qualcun felice.
VITELLIA Dunque a vantarmi in faccia
venisti il mio nemico? E più non pensi
che questo eroe clemente un soglio usurpa
dal suo tolto al mio padre?
Che mi ingannò, che mi sedusse
è il suo fallo maggior) quasi ad amarlo?
E poi, perfido, e poi di nuovo al Tebro
richiamar Berenice! Una rivale
avesse scelta almeno
degna di me fra le beltà di Roma.
Ma una barbara, Sesto,
un’esule antepormi, una regina!
SESTO Sai pur che Berenice
volontaria tornò.
VITELLIA Narra a’ fanciulli
codeste fole. Io so gl’antichi amori,
so le lacrime sparse allor che quindi
l’altra volta partì, so come adesso
l’accolse e l’onorò. Chi non lo vede?
Il perfido l’adora.
SESTO Ah principessa,
tu sei gelosa.
VITELLIA Io?
SESTO Sì.
VITELLIA Gelosa io sono,
se non soffro un disprezzo?
SESTO Eppur…
VITELLIA Eppure
non hai cuor d’acquistarmi.
SESTO Io son…
VITELLIA Tu sei
sciolto d’ogni promessa. A me non manca
più degno esecutor dell’odio mio.
SESTO Sentimi.
VITELLIA Intesi assai.
SESTO Fermati.
VITELLIA Addio.
SESTO Ah Vitellia, ah mio nume,
non partir! Dove vai?
Perdonami, ti credo, io m’ingannai.
Duetto
SESTO Come ti piace imponi,
regola i moti miei.
Il mio destin tu sei,
tutto farò per te.
VITELLIA Prima che il sol tramonti,
estinto io vo’ l’indegno.
Sai ch’egli usurpa un regno
che in sorte il ciel mi diè.
SESTO Già il tuo furor m’accende.
VITELLIA Ebben, che più s’attende?
SESTO Un dolce sguardo almeno
sia premio alla mia fé.
VITELLIA, SESTO Fan mille affetti insieme
battaglia in me spietata:
un’alma lacerata
più della mia non v’è.
SCENA II
Vitellia, Annio
Recitativo
ANNIO Amico
Cesare a se ti chiama.
VITELLIA Ah non perdete
questi brevi momenti. A Berenice
Tito gli usurpa.
ANNIO Ingiustamente oltraggi,
Vitellia, il nostro eroe. Tito ha l’impero
e del mondo e di sé. Già per suo cenno
Berenice partì.
SESTO Come?
VITELLIA Che dici?
ANNIO Voi stupite a ragion. Roma ne piange,
di meraviglia e di piacere. Io stesso
quasi nol credo, ed io
fui presente, o Vitellia, al grande addio.
VITELLIA (Oh speranze!)
SESTO Oh virtù!
VITELLIA Quella superba,
oh come volentieri udita avrei
esclamar contro Tito!
ANNIO Anzi giammai
più tenera non fu. Partì; ma vide
che adorata partiva e che al suo caro
men che a lei non costava il colpo amaro.
VITELLIA Ognun può lusingarsi.
ANNIO Eh si conobbe
che bisognava a Tito
tutto l’eroe per superar l’amante.
Vinse, ma combatté. Non era oppresso,
ma tranquillo non era; ed in quel volto,
dicasi per sua gloria,
si vedea la battaglia, e la vittoria.
VITELLIA (Eppur forse con me, quanto credei,
Tito ingrato non è.) Sesto, sospendi
d’eseguire i miei cenni: il colpo ancora
non è maturo.
SESTO E tu non vuoi ch’io vegga!
ch’io mi lagni, o crudele!
VITELLIA Or che vedesti?
Di che ti puoi lagnar?
SESTO Di nulla. (Oh dio,
chi provò mai tormento eguale al mio?)
Aria
VITELLIA Deh se piacer mi vuoi,
lascia i sospetti tuoi.
Non mi stancar con questo
molesto dubitar.
Chi ciecamente crede
impegna a serbar fede.
Chi sempre inganni aspetta
alletta ad ingannar.
SCENA III
Sesto, Annio
Recitativo
ANNIO Amico, ecco il momento
di rendermi felice. All’amor mio
Servilia promettesti. Altro non manca
che d’Augusto l’assenso. Ora da lui
impetrarlo potresti.
SESTO Ogni tua brama,
Annio, m’è legge. Impaziente anch’io
questo nuovo legame, Annio, desio.
Duettino
SESTO, ANNIO Deh prendi un dolce amplesso,
amico mio fedel,
e ognor per me lo stesso
ti serbi amico il ciel.
SCENA IV
Coro, Publio, Annio, Tito
CORO Serbate, o dei custodi
della romana sorte,
in Tito il giusto, il forte,
l’onor di nostra età.
Voi gl’immortali allori
sulla cesarea chioma,
voi custodite a Roma
la sua felicità.
Fu vostro un sì gran dono,
sia lungo il dono vostro.
L’invidi al mondo nostro
il mondo, che verrà.
Recitativo
PUBLIO Te della patria il padre
oggi appella il Senato, e mai più giusto
non fu ne’ suoi decreti, o invitto Augusto.
ANNIO Né padre sol, ma sei
suo nume tutelar. Più che mortale
giacché altrui ti dimostri, a’ voti altrui
comincia ad avvezzarti. Eccelso tempio
ti destina il Senato, e là si vuole
che fra divini onori
anche il nume di Tito il Tebro adori.
PUBLIO Quei tesori che vedi,
delle serve province annui tributi,
all’opra consacriam. Tito non sdegni
questi del nostro amor pubblici segni.
TITO Romani, unico oggetto
è de’ voti di Tito il vostro amore,
ma il vostro amor non passi
tanto i confini suoi
che debbano arrossirne e Tito, e voi.
Quegli offerti tesori
non ricuso però. Cambiarne solo
l’uso pretendo. Udite. Oltre l’usato
terribile il Vesevo ardenti fiumi
dalle fauci eruttò; scosse le rupi;
riempié di ruine
i campi intorno e le città vicine.
Le desolate genti
fuggendo van, ma la miseria opprime
quei che al foco avanzar. Serva quell’oro
di tanti afflitti a riparar lo scempio.
Questo, o Romani, è fabbricarmi il tempio.
ANNIO Oh vero eroe!
PUBLIO Quanto di te minori
tutti i premi son mai, tutte le lodi!
TITO Basta, basta, o miei fidi.
Sesto a me s’avvicini; Annio non parta.
Ogn’altro s’allontani.
ANNIO (Adesso, o Sesto,
parla per me.)
SESTO Come, signor, potesti
la tua bella regina…
TITO Ah Sesto, amico,
che terribil momento! Io non credei…
Basta, ho vinto. Partì. Tolgasi adesso
a Roma ogni sospetto
di vederla mia sposa. Una sua figlia
vuol veder sul mio soglio,
e appagarla convien. Giacché l’amore
scelse invano i miei lacci, io vuo’ che almeno
l’amicizia li scelga. Al tuo s’unisca,
Sesto, il cesareo sangue. Oggi mia sposa
sarà la tua germana.
SESTO Servilia!
TITO Appunto.
ANNIO (Oh me infelice!)
SESTO (Oh dei
Annio è perduto.)
TITO Udisti?
Che dici? Non rispondi?
SESTO E chi potrebbe
risponderti, signor? M’opprime a segno
la tua bontà, che non ho cor… vorrei…
ANNIO (Sesto è in pena per me.)
TITO Spiegati. Io tutto
farò per tuo vantaggio.
SESTO (Ah si serva l’amico.)
ANNIO (Annio, coraggio.)
SESTO Tito…
ANNIO Augusto, conosco
di Sesto il cor. Fin dalla cuna insieme
tenero amor ne stringe. Ei, di sé stesso
modesto estimator, teme che sembri
sproporzionato il dono e non s’avvede
ch’ogni distanza eguaglia
d’un cesare il favor. Ma tu consiglio
da lui prender non dei. Come potresti
sposa elegger più degna
dell’impero, e di te? Virtù, bellezza,
tutto è in Servilia. Io le conobbi in volto
ch’era nata a regnar. De’ miei presagi
l’adempimento è questo.
SESTO (Annio parla così! Sogno, o son desto?)
TITO E ben, recane a lei,
Annio, tu la novella. E tu mi siegui,
amato Sesto, e queste
tue dubbiezze deponi. Avrai tal parte
tu ancor nel soglio, e tanto
t’innalzerò, che resterà ben poco
dello spazio infinito
che frapposer gli dei fra Sesto, e Tito.
SESTO Questo è troppo, o signor. Modera almeno,
se ingrati non ci vuoi,
modera, Augusto, i benefici tuoi.
TITO Ma che, se mi niegate
che benefico io sia, che mi lasciate?
Aria
TITO Del più sublime soglio
l’unico frutto è questo.
Tutto è tormento il resto
e tutto è servitù.
Che avrei, se ancor perdessi
le sole ore felici
che ho nel giovar gli oppressi,
nel sollevar gli amici,
nel dispensar tesori
al merto e alla virtù?
SCENA V
Annio, Servilia
Recitativo
ANNIO Non ci pentiam. D’un generoso amante
era questo il dover. Mio cor, deponi
le tenerezze antiche. È tua sovrana
chi fu l’idolo tuo. Cambiar conviene
in rispetto l’amore. Eccola. Oh dei,
mai non parve sì bella agli occhi miei!
SERVILIA Mio ben.
ANNIO Taci, Servilia. Ora è delitto
il chiamarmi così.
SERVILIA Perché?
ANNIO Ti scelse
Cesare (che martir!) per sua consorte.
A te (morir mi sento), a te m’impose
di recarne l’avviso (oh pena!), ed io…
io fui… (parlar non posso). Augusta, addio.
SERVILIA Come! Fermati. Io sposa
di Cesare? E perché?
ANNIO Perché non trova
beltà, virtù che sia
più degna d’un impero, anima… Oh stelle!
Che dirò? Lascia, Augusta,
deh lasciami partir.
SERVILIA Così confusa
abbandonar mi vuoi? Spiegati, dimmi,
come fu? Per qual via?
ANNIO Mi perdo, s’io non parto, anima mia.
Duetto
ANNIO Ah perdona al primo affetto
questo accento sconsigliato,
colpa fu del labbro usato
a così chiamarti ognor.
SERVILIA Ah tu fosti il primo oggetto
che finor fedel amai;
e tu l’ultimo sarai
come fosti il primo amor.
ANNIO Cari accenti del mio bene!
SERVILIA Oh mia dolce, cara spene!
ANNIO, SERVILIA Più che ascolto i sensi tuoi,
in me cresce più l’ardor.
Qual piacere un cor risente
quando un’alma è all’altra unita!
Ah si tronchi dalla vita
tutto quel che non è amor.
SCENA VI
Tito, Publio
Recitativo
TITO Che mi rechi in quel foglio?
PUBLIO I nomi ei chiude
de’ rei che osar con temerari accenti
de’ cesari già spenti
la memoria oltraggiar.
TITO Barbara inchiesta
che agli estinti non giova, e somministra
mille strade alla frode
d’insidiar gl’innocenti.
PUBLIO Ma v’è, signor, chi lacerare ardisce
anche il tuo nome.
TITO E che perciò? Se ‘l mosse
leggerezza, nol curo.
Se follia, lo compiango.
Se ragion, gli son grato. E se in lui sono
impeti di malizia, io gli perdono.
PUBLIO Almen…
SCENA VII
Servilia, Tito
Recitativo
SERVILIA Di Tito al piè…
TITO Servilia! Augusta!
SERVILIA Ah signor, sì gran nome
non darmi ancora. Odimi prima: io deggio
palesarti un arcan.
TITO Publio, ti scosta;
ma non partir.
SERVILIA Che del cesareo alloro
me, fra tante più degne,
generoso monarca, inviti a parte,
è dono tal che desteria tumulto
nel più stupido cor. Ma…
TITO Parla.
SERVILIA Il core,
signor, non è più mio. Già da gran tempo
Annio me lo rapì. Valor che basti
non ho per obliarlo. Anche dal trono
il solito sentiero
farebbe a mio dispetto il mio pensiero.
So che oppormi è delitto
d’un cesare al voler, ma tutto almeno
sia noto al mio sovrano;
poi, se mi vuol sua sposa, ecco la mano.
TITO Grazie, o numi del ciel. Pur si ritrova
chi s’avventuri a dispiacer col vero.
Alla grandezza tua la propria pace
Annio pospone. Tu ricusi un trono
per essergli fedele! Ed io dovrei
turbar fiamme sì belle? Ah non produce
sentimenti sì rei di Tito il core.
Sgombra ogni tema. Io voglio
stringer nodo sì degno, e n’abbia poi
cittadini la patria eguali a voi.
SERVILIA Oh Tito! Oh Augusto! Oh vera
delizia de’ mortali! Io non saprei
come il grato mio cor…
TITO Se grata appieno
esser mi vuoi, Servilia, agli altri inspira
il tuo candor. Di pubblicar procura,
che grato a me si rende,
più del falso che piace, il ver che offende.
Aria
TITO Ah se fosse intorno al trono
ogni cor così sincero,
non tormento un vasto impero,
ma saria felicità.
Non dovrebbero i regnanti
tollerar sì grave affanno
per distinguer dall’inganno
l’insidiata verità.
SCENA VIII
Servilia, Vitellia
Recitativo
SERVILIA Felice me!
VITELLIA Posso alla mia sovrana
offrir del mio rispetto i primi omaggi?
Posso adorar quel volto
per cui d’amor ferito
ha perduto il riposo il cor di Tito?
SERVILIA Non esser meco irata,
forse la regia destra è a te serbata.
SCENA IX
Vitellia, Sesto
Recitativo
VITELLIA Ancora mi schernisce?
Questo soffrir degg’io
vergognoso disprezzo? Ah con qual fasto
qui mi lascia costei! Barbaro Tito,
ti parea dunque poco
Berenice antepormi? Io dunque sono
l’ultima de’ viventi. Ah trema, ingrato,
trema d’avermi offesa. Oggi ‘l tuo sangue…
SESTO Mia vita.
VITELLIA E ben, che rechi? Il Campidoglio
è acceso? È incenerito?
Lentulo dove sta? Tito è punito?
SESTO Nulla intrapresi ancor.
VITELLIA Nulla! E sì franco
mi torni innanzi? E con qual merto ardisci
di chiamarmi tua vita?
SESTO È tuo comando
il sospendere il colpo.
VITELLIA E non udisti
i miei novelli oltraggi? Un altro cenno
aspetti ancor? Ma ch’io ti creda amante,
dimmi, come pretendi,
se così poco i miei pensieri intendi?
SESTO Se una ragion potesse
almen giustificarmi…
VITELLIA Una ragione!
Mille n’avrai, qualunque sia l’affetto
da cui prenda il tuo cor regola, e moto.
È la gloria il tuo voto? Io ti propongo
la patria a liberar. Sei d’un’illustre
ambizion capace? Eccoti aperta
una strada all’impero.
Può la mia mano
renderti fortunato? Corri,
mi vendica, e son tua.
D’altri stimoli hai d’uopo?
Sappi che Tito amai,
che del mio cor l’acquisto
ei t’impedì, che se rimane in vita
si può pentir, ch’io ritornar potrei,
non mi fido di me, forse ad amarlo.
Or va’; se non ti move
desio di gloria, ambizione, amore;
se tolleri un rivale
che usurpò, che contrasta,
che involarti potrà gli affetti miei,
degl’uomini ‘l più vil dirò che sei.
SESTO Quante vie d’assalirmi!
Basta, basta, non più, già m’ispirasti,
Vitellia, il tuo furore. Arder vedrai
fra poco il Campidoglio, e questo acciaro
nel sen di Tito… (Ah sommi dei, qual gelo
mi ricerca le vene…)
VITELLIA Ed or che pensi?
SESTO Ah Vitellia!
VITELLIA Il previdi:
tu pentito già sei.
SESTO Non son pentito,
ma…
VITELLIA Non stancarmi più. Conosco, ingrato,
che amor non hai per me. Folle ch’io fui!
Già ti credea, già mi piacevi, e quasi
cominciavo ad amarti. Agli occhi miei
involati per sempre
e scordati di me.
SESTO Fermati: io cedo,
io già volo a servirti.
VITELLIA Eh non ti credo.
M’ingannerai di nuovo. In mezzo all’opra
ricorderai…
SESTO No, mi punisca Amore
se penso ad ingannarti.
VITELLIA Dunque corri; Che fai? Perché non parti?
Aria
SESTO Parto; ma tu, ben mio,
meco ritorna in pace.
Sarò qual più ti piace,
quel che vorrai farò.
Guardami, e tutto oblio
e a vendicarti io volo.
A questo sguardo solo
da me si penserà.
(Ah qual poter, oh dei
donaste alla beltà.)
SCENA X
Vitellia, Publio, Annio
Recitativo
VITELLIA Vedrai, Tito, vedrai che alfin sì vile
questo volto non è. Basta a sedurti
gli amici almen, se ad invaghirti è poco.
Ti pentirai…
PUBLIO Tu qui, Vitellia? Ah corri.
Va Tito alle tue stanze.
ANNIO Vitellia, il passo affretta.
Cesare di te cerca.
VITELLIA Cesare!
PUBLIO Ancor nol sai?
Sua consorte t’elesse.
ANNIO Tu sei la nostra augusta, e il primo omaggio
già da noi ti si rende.
PUBLIO Ah principessa, andiam, Cesare attende.
Terzetto
VITELLIA Vengo… Aspettate… Sesto…
Ahimè!… Sesto!… È partito?
Oh sdegno mio funesto!
Oh insano mio furor!
Che angustia! Che tormento!
Io gelo, oh dio, d’orror.
PUBLIO, ANNIO Oh come un gran contento,
come confonde un cor!
SCENA XI
Sesto, Annio, Servilia, Publio, Vitellia
Recitativo
SESTO Oh dei, che smania è questa!
Che tumulto ho nel cor! Palpito, agghiaccio,
m’incammino, m’arresto; ogn’aura, ogn’ombra
mi fa tremare. Io non credea che fosse
sì difficile impresa esser malvagio.
Ma compirla convien. Almen si vada
con valore a perir. Valore! E come
può averne un traditor? Sesto infelice!
Tu traditor! Che orribil nome! Eppure
t’affretti a meritarlo. E chi tradisci?
Il più grande, il più giusto, il più clemente
principe della terra, a cui tu devi
quanto puoi, quanto sei. Bella mercede
gli rendi invero! Ei t’innalzò per farti
il carnefice suo. M’inghiotta il suolo
prima ch’io tal divenga. Ah non ho core,
Vitellia, a secondar gli sdegni tuoi.
Morrei prima del colpo in faccia a lui.
Arde già il Campidoglio.
Un gran tumulto io sento
d’armi e d’armati. Ahi, tardo è il pentimento.
Quintetto
SESTO Deh conservate, o dei,
a Roma il suo splendor,
o almeno i giorni miei
coi suoi troncate ancor.
ANNIO Amico, dove vai?
SESTO Io vado… Lo saprai,
oh dio, per mio rossor.
SCENA XII
Annio, Servilia, Publio
ANNIO Io Sesto non intendo…
Ma qui Servilia viene.
SERVILIA Ah che tumulto orrendo!
ANNIO Fuggi di qua, mio bene.
SERVILIA Si teme che l’incendio
non sia dal caso nato,
ma con peggior disegno
ad arte suscitato.
PUBLIO V’è in Roma una congiura,
per Tito, ahimè, pavento.
Di questo tradimento
chi mai sarà l’autor?
SERVILIA, ANNIO, PUBLIO Le grida, ahimè, ch’io sento
mi fan gelar d’orror.
SCENA XIII
Vitellia, Annio, Servilia, Publio
VITELLIA Chi per pietade, oh dio,
m’addita dov’è Sesto?
(In odio a me son io
ed ho di me terror.)
VITELLIA, SERVILIA, ANNIO, PUBLIO Di questo tradimento
chi mai sarà l’autor!
VITELLIA, SERVILIA, ANNIO, PUBLIO Le grida, ahimè, ch’io sento
mi fan gelar d’orror.
SCENA XIV
Sesto, Vitellia, Annio, Servilia, Publio
SESTO (Ah dove mai m’ascondo?
Apriti, o terra, inghiottimi,
e nel tuo sen profondo
rinserra un traditor.)
VITELLIA Sesto!
SESTO Da me che vuoi?
VITELLIA Quai sguardi vibri intorno?
SESTO Mi fa terror il giorno.
VITELLIA Tito?
SESTO La nobil alma
versò dal sen trafitto.
SERVILIA, ANNIO, PUBLIO Qual destra rea macchiarsi
poté d’un tal delitto?
SESTO Fu l’uom più scellerato,
l’orror della natura,
fu…
VITELLIA Taci forsennato,
ah non ti palesar.
SESTO, VITELLIA, SERVILIA, ANNIO, PUBLIO Ah dunque l’astro è spento
di pace apportator.
SESTO, VITELLIA, SERVILIA, ANNIO, PUBLIO, CORO Oh nero tradimento,
oh giorno di dolor!
SCENA I
Annio, Sesto
Recitativo
ANNIO Sesto, come tu credi,
Augusto non perì. Calma il tuo duolo.
In questo punto ei torna
illeso dal tumulto.
SESTO Eh tu m’inganni.
Io stesso lo mirai cader trafitto
da scellerato acciaro.
ANNIO Dove?
SESTO Nel varco angusto onde si ascende
quinci presso al Tarpeo.
ANNIO No, travedesti.
Tra il fumo e tra il tumulto
altri Tito ti parve.
SESTO Altri! E chi mai
delle cesaree vesti
ardirebbe adornarsi? Il sacro alloro,
l’augusto ammanto…
ANNIO Ogni argomento è vano.
Vive Tito, ed è illeso. In questo istante
io da lui mi divido.
SESTO Oh dei pietosi!
Oh caro prence! Oh dolce amico! Ah lascia
che a questo sen… Ma non m’inganni?
ANNIO Io merto
sì poca fé? Dunque tu stesso a lui
corri, e ‘l vedrai.
SESTO Ch’io mi presenti a Tito
dopo averlo tradito?
ANNIO Tu lo tradisti?
SESTO Io del tumulto, io sono
il primo autor.
ANNIO Come! Perché?
SESTO Non posso
dirti di più.
ANNIO Sesto è infedele!
SESTO Amico,
m’ha perduto un istante. Addio. M’involo
alla patria per sempre.
Ricordati di me. Tito difendi
da nuove insidie. Io vo ramingo, afflitto
a pianger fra le selve il mio delitto.
ANNIO Fermati. Oh dei! Pensiamo… Incolpan molti
di questo incendio il caso, e la congiura
non è certa finora…
SESTO Ebben, che vuoi?
ANNIO Che tu non parta ancora.
Aria
ANNIO Torna di Tito a lato.
Torna e l’error passato
con replicate emenda
prove di fedeltà.
L’acerbo tuo dolore
è segno manifesto
che di virtù nel core
l’immagine ti sta.
SCENA II
Sesto, Vitellia
Recitativo
SESTO Partir deggio o restar? Io non ho mente
per distinguer consigli.
VITELLIA Sesto, fuggi, conserva
la tua vita, e ‘l mio onor. Tu sei perduto,
se alcun ti scopre, e se scoperto sei,
pubblico è il mio secreto
SESTO In questo seno
sepolto resterà. Nessuno il seppe.
Tacendolo morrò.
VITELLIA Mi fiderei,
se minor tenerezza
per Tito in te vedessi. Il suo rigore
non temo già, la sua clemenza io temo:
questa ti vincerà.
SCENA III
Publio, Sesto, Vitellia Publio
Recitativo
PUBLIO Sesto.
SESTO Che chiedi?
PUBLIO La tua spada.
SESTO E perché?
PUBLIO Colui, che cinto
delle spoglie regali agli occhi tuoi
cadde trafitto al suolo, ed ingannato
dall’apparenza tu credesti Tito,
era Lentulo. Il colpo
la vita a lui non tolse. Il resto intendi.
Vieni.
VITELLIA (Oh colpo fatale!)
SESTO Alfin, tiranna…
PUBLIO Sesto, partir conviene. È già raccolto
per udirti il Senato, e non poss’io
differir di condurti.
SESTO Ingrata, addio.
SCENA IV
Publio, Sesto, Vitellia
Terzetto
SESTO Se al volto mai ti senti
lieve aura che s’aggiri,
gli estremi miei sospiri
quell’alito sarà.
VITELLIA Per me vien tratto a morte.
Ah dove mai m’ascondo?
Fra poco noto al mondo
il fallo mio sarà.
PUBLIO Vieni…
SESTO Ti seguo… Addio.
VITELLIA Senti… Mi perdo… Oh dio!
PUBLIO Vieni…
VITELLIA Che crudeltà!
SESTO Rammenta chi t’adora
in questo stato ancora.
Mercede al mio dolore
sia almen la tua pietà.
VITELLIA (Mi laceran il core
rimorso, orror, spavento!
Quel che nell’alma io sento
di duol morir mi fa.)
PUBLIO (L’acerbo amaro pianto,
che da’ suoi lumi piove,
l’anima mi commove,
ma vana è la pietà.)
SCENA V
Tito, Publio, Coro
Coro
CORO Ah grazie si rendano
al sommo fattor
che in Tito del trono
salvò lo splendor.
TITO Ah no, sventurato
non sono cotanto,
se in Roma il mio fato
si trova compianto,
se voti per Tito
si formano ancor.
CORO Ah grazie si rendano…
Recitativo
PUBLIO Già de’ pubblici giochi,
signor, l’ora trascorre. Il dì solenne
sai che non soffre il trascurarli. È tutto
colà d’intorno alla festiva arena
il popolo raccolto, e non s’attende
che la presenza tua. Ciascun sospira
dopo il noto periglio
di rivederti salvo. Alla tua Roma
non differir sì bel contento.
TITO Andremo,
Publio, fra poco. Io non avrei riposo,
se di Sesto il destino
pria non sapessi. Avrà il Senato omai
le sue discolpe udite; avrà scoperto,
vedrai, ch’egli è innocente; e non dovrebbe
tardar molto l’avviso.
PUBLIO Ah troppo chiaro
Lentulo favellò.
TITO Lentulo forse
cerca al fallo un compagno
per averlo al perdono. Ei non ignora
quanto Sesto m’è caro. Arte comune
questa è de’ rei. Pur dal Senato ancora
non torna alcun. Che mai sarà? Va’, chiedi:
che si fa, che si attende? Io voglio tutto
saper pria di partir.
PUBLIO Vado, ma temo
di non tornar nunzio felice.
TITO E puoi
creder Sesto infedele? Io dal mio core
il suo misuro, e un impossibil parmi
ch’egli m’abbia tradito.
PUBLIO Ma, signor, non han tutti il cor di Tito.
Aria
PUBLIO Tardi s’avvede
d’un tradimento
chi mai di fede
mancar non sa.
Un cor verace,
pieno d’onore,
non è portento,
se ogn’altro core
crede incapace
d’infedeltà.
SCENA VI
Tito, Annio
Recitativo
TITO No, così scellerato
il mio Sesto non credo. Io l’ho veduto
non sol fido ed amico,
ma tenero per me. Tanto cambiarsi
un’alma non potrebbe. Annio, che rechi?
L’innocenza di Sesto?
Consolami.
ANNIO Signor, pietà per lui
ad implorar io vengo.
SCENA VII
Publio, Tito, Annio
Recitativo
PUBLIO Cesare, nol diss’io? Sesto è l’autore
della trama crudel.
TITO Publio, ed è vero?
PUBLIO Purtroppo. Ei di sua bocca
tutto affermò. Co’ complici il Senato
alle fiere il condanna. Ecco il decreto
terribile, ma giusto,
né vi manca, o signor, che il nome augusto.
TITO Onnipossenti dei!
ANNIO Ah pietoso monarca…
TITO Annio, per ora
lasciami in pace.
PUBLIO Alla gran pompa unite
sai che le genti omai…
TITO Lo so. Partite.
ANNIO Deh perdona s’io parlo
in favor d’un insano.
Della mia cara sposa egli è germano.
Aria
ANNIO
Tu fosti tradito,
ei degno è di morte,
ma il core di Tito
pur lascia sperar.
Deh prendi consiglio,
signor, dal tuo core.
Il nostro dolore
ti degna mirar.
SCENA VIII
Tito
Recitativo
TITO Che orror! Che tradimento!
Che nera infedeltà! Fingersi amico,
essermi sempre al fianco, ogni momento
esiger dal mio core
qualche prova d’amore, e starmi intanto
preparando la morte! Ed io sospendo
ancor la pena? E la sentenza ancora
non segno?…Ah sì, lo scellerato mora.
Mora!… Ma senza udirlo
mando Sesto a morir? Sì, già l’intese
abbastanza il Senato. E s’egli avesse
qualche arcano a svelarmi? Olà, s’ascolti,
e poi vada al supplizio. A me si guidi
Sesto. È pur di chi regna
infelice il destino! A noi si nega
ciò che a’ più bassi è dato. In mezzo al bosco
quel villanel mendìco, a cui circonda
ruvida lana il rozzo fianco, a cui
è mal fido riparo
dall’ingiurie del ciel tugurio informe,
placido i sonni dorme,
passa tranquillo i dì. Molto non brama.
Sa chi l’odia e chi l’ama. Unito o solo
torna sicuro alla foresta, al monte,
e vede il core a ciascheduno in fronte.
Noi fra tante ricchezze
sempre incerti viviam, ché in faccia a noi
la speranza o il timore
sulla fronte d’ognun trasforma il core.
Chi dall’infido amico, olà, chi mai
questo temer dovea?
SCENA IX
Tito, Publio
Recitativo
TITO Ma, Publio, ancora
Sesto non viene?
PUBLIO Ad eseguire il cenno
già volaro i custodi.
TITO Io non comprendo
un sì lungo tardar.
PUBLIO Pochi momenti
sono scorsi, o signor.
TITO
Vanne tu stesso.
Affrettalo.
PUBLIO Ubbidisco… I tuoi littori
veggonsi comparir. Sesto dovrebbe
non molto esser lontano. Eccolo.
TITO Ingrato!
All’udir che s’appressa
già mi parla a suo pro l’affetto antico.
Ma no, trovi il suo prence e non l’amico.
SCENA X
Tito, Publio, Sesto
Terzetto
SESTO (Quello di Tito è il volto!
Ah dove, oh stelle, è andata
la sua dolcezza usata?
Or ei mi fa tremar.)
TITO (Eterni dei, di Sesto
dunque il sembiante è questo!
Oh come può un delitto
un volto trasformar!)
PUBLIO (Mille diversi affetti
in Tito guerra fanno.
S’ei prova un tale affanno,
lo seguita ad amar.)
TITO Avvicinati!
SESTO (Oh voce
che piombami sul core!)
TITO Non odi?
SESTO (Di sudore
mi sento, oh dio, bagnar!)
TITO, PUBLIO (Palpita il traditore,
né gli occhi ardisce alzar.)
SESTO (Oh dio, non può chi more,
non può di più penar.)
Recitativo
TITO (Eppur mi fa pietà.) Publio, custodi,
lasciatemi con lui.
SESTO (No, di quel volto
non ho costanza a sostener l’impero.)
TITO Ah Sesto, è dunque vero?
Dunque vuoi la mia morte? In che t’offese
il tuo prence, il tuo padre,
il tuo benefattor? Se Tito augusto
hai potuto obliar, di Tito amico
come non ti sovvenne? Il premio è questo
della tenera cura
ch’ebbi sempre di te? Di chi fidarmi
in avvenir potrò, se giunse, oh dei,
anche Sesto a tradirmi? E lo potesti?
E ‘l cor te lo sofferse?
SESTO Ah Tito, ah mio
clementissimo prence,
non più, non più! Se tu veder potessi
questo misero cor, spergiuro, ingrato
pur ti farei pietà. Tutte ho sugli occhi
tutte le colpe mie, tutti rammento
i benefici tuoi. Soffrir non posso
né l’idea di me stesso
né la presenza tua. Quel sacro volto,
la voce tua, la tua clemenza istessa
diventò mio supplizio. Affretta almeno,
affretta il mio morir. Toglimi presto
questa vita infedel. Lascia ch’io versi,
se pietoso esser vuoi,
questo perfido sangue ai piedi tuoi.
TITO Sorgi, infelice. (Il contenersi è pena
a quel tenero pianto.) Or vedi a quale
lacrimevole stato
un delitto riduce, una sfrenata
avidità d’impero! E che sperasti
di trovar mai nel trono? Il sommo forse
d’ogni contento? Ah sconsigliato! Osserva
quai frutti io ne raccolgo;
e bramalo, se puoi.
SESTO No, questa brama
non fu che mi sedusse.
TITO Dunque che fu?
SESTO La debolezza mia,
la mia fatalità.
TITO Più chiaro almeno
spiegati.
SESTO Oh dio, non posso!
TITO Odimi, o Sesto.
Siam soli, il tuo sovrano
non è presente. Apri il tuo core a Tito,
confidati all’amico. Io ti prometto
che Augusto nol saprà. Del tuo delitto
di’ la prima cagion. Cerchiamo insieme
una via di scusarti. Io ne sarei
forse di te più lieto.
SESTO Ah la mia colpa
non ha difesa.
TITO In contraccambio almeno
d’amicizia lo chiedo. Io non celai
alla tua fede i più gelosi arcani:
merito ben che Sesto
mi fidi un suo segreto.
SESTO (Ecco una nuova
specie di pena! O dispiacere a Tito
o Vitellia accusar.)
TITO Dubiti ancora?
Ma, Sesto, mi ferisci
nel più vivo del cor. Vedi che troppo
tu l’amicizia oltraggi
con questo diffidar. Pensaci. Appaga
il mio giusto desio.
SESTO (Ma qual astro splendeva al nascer mio!)
TITO E taci? E non rispondi? Ah giacché puoi
tanto abusar di mia pietà…
SESTO Signore…
Sappi dunque… (Che fo?)
TITO Siegui.
SESTO (Ma quando
finirò di penar?)
TITO Parla una volta:
che mi volevi dir?
SESTO Ch’io son l’oggetto
dell’ira degli dei; che la mia sorte
non ho più forza a tollerar; ch’io stesso
traditor mi confesso, empio mi chiamo;
ch’io merito la morte e ch’io la bramo.
TITO Sconoscente! E l’avrai. Custodi, il reo
toglietemi d’innanzi.
SESTO Il bacio estremo
su quella invitta man…
TITO Parti: non è più tempo,
or tuo giudice sono.
SESTO Ah sia questo, signor, l’ultimo dono.
Rondò
SESTO Deh per questo istante solo
ti ricorda il primo amor,
ché morir mi fa di duolo
il tuo sdegno, il tuo rigor.
Di pietade indegno, è vero,
sol spirar io deggio orror.
Pur saresti men severo,
se vedessi questo cor.
Disperato vado a morte,
ma il morir non mi spaventa;
il pensiero mi tormenta
che fui teco un traditor.
(Tanto affanno soffre un core,
né si more di dolor.)
SCENA XI
Tito
Recitativo
TITO Ove s’intese mai più contumace
infedeltà? Deggio alla mia negletta
disprezzata clemenza una vendetta.
Vendetta!… Il cor di Tito
tali sensi produce?… Eh viva… Invano
parlar dunque le leggi? Io lor custode
l’eseguisco così? Di Sesto amico
non sa Tito scordarsi?
Ogn’altro affetto
d’amicizia e pietà taccia per ora.
Sesto è reo: Sesto mora. Eccoci aspersi
di cittadino sangue, e s’incomincia
dal sangue d’un amico. Or che diranno
i posteri di noi? Diran che in Tito
si stancò la clemenza,
come in Silla e in Augusto
la crudeltà; che Tito era l’offeso
e che le proprie offese,
senza ingiuria del giusto,
ben poteva obliar. Ma dunque faccio
sì gran forza al mio cor? Né almen sicuro
sarò ch’altri m’approvi? Ah non si lasci
il solito cammin. Viva l’amico!
benché infedele. E se accusarmi il mondo
vuol pur di qualche errore,
m’accusi di pietà, non di rigore.
Publio.
SCENA XII
Publio, Tito
Recitativo
PUBLIO Cesare.
TITO Andiamo
al popolo che attende.
PUBLIO E Sesto?
TITO E Sesto
venga all’arena ancor.
PUBLIO Dunque il suo fato…
TITO Sì, Publio, è già deciso.
PUBLIO (Oh sventurato!)
Aria
TITO Se all’impero, amici dei,
necessario è un cor severo,
o togliete a me l’impero
o a me date un altro cor.
Se la fé de’ regni miei
coll’amor non assicuro,
d’una fede non mi curo
che sia frutto del timor.
SCENA XIII
Vitellia, Publio
Recitativo
VITELLIA Publio, ascolta.
PUBLIO Perdona,
deggio a Cesare appresso
andar…
VITELLIA Dove?
PUBLIO All’arena.
VITELLIA E Sesto?
PUBLIO Anch’esso.
VITELLIA Dunque morrà?
PUBLIO Purtroppo.
VITELLIA (Ohimè!) Con Tito
Sesto ha parlato?
PUBLIO E lungamente.
VITELLIA E sai
quel ch’ei dicesse?
PUBLIO No, solo con lui
restar Cesare volle: escluso io fui.
SCENA XIV
Vitellia, Annio, Servilia
Recitativo
VITELLIA Non giova lusingarsi;
Sesto già mi scoperse. A Publio istesso
si conosce sul volto. Ei non fu mai
con me sì ritenuto; ei fugge; ei teme
di restar meco. Ah secondato avessi
gl’impulsi del mio cor! Per tempo a Tito
dovea svelarmi e confessar l’errore.
Sempre in bocca d’un reo, che la detesta,
scema d’orror la colpa. Or questo ancora
tardi saria. Seppe il delitto Augusto,
e non da me. Questa ragione istessa
fa più grave…
SERVILIA Ah Vitellia!
ANNIO Ah principessa!
SERVILIA Il misero germano…
ANNIO Il caro amico…
SERVILIA È condotto a morir.
ANNIO Fra poco in faccia
di Roma spettatrice
delle fiere sarà pasto infelice.
VITELLIA Ma che posso per lui?
SERVILIA Tutto. A’ tuoi prieghi
Tito lo donerà.
ANNIO Non può negarlo
alla novella Augusta.
VITELLIA Annio, non sono
augusta ancor.
ANNIO Pria che tramonti il sole
Tito sarà tuo sposo. Or, me presente,
per le pompe festive il cenno ei diede.
VITELLIA (Dunque Sesto ha taciuto! Oh amore! Oh fede!)
Annio, Servilia, andiam. (Ma dove corro
così senza pensar?) Partite, amici:
vi seguirò.
ANNIO Ma se d’un tardo aiuto
Sesto fidar si dee, Sesto è perduto.
SERVILIA Andiam. Quell’infelice
t’amò più di sé stesso: avea fra’ labbri
sempre il tuo nome, impallidia qualora
si parlava di te. Tu piangi!
VITELLIA Ah parti.
SERVILIA Ma tu perché restar? Vitellia, ah parmi…
VITELLIA Oh dei, parti! Verrò, non tormentarmi.
Aria
SERVILIA S’altro che lagrime
per lui non tenti,
tutto il tuo piangere
non gioverà.
A questa inutile
pietà che senti,
oh quanto è simile
la crudeltà!
SCENA XV
Vitellia
Recitativo
VITELLIA Ecco il punto, o Vitellia,
d’esaminar la tua costanza. Avrai
valor che basti a rimirar esangue
il Sesto tuo fedel? Sesto che t’ama
più della vita sua? Che per tua colpa
divenne reo? Che t’ubbidì crudele?
Che ingiusta t’adorò? Che in faccia a morte
sì gran fede ti serba? E tu frattanto,
non ignota a te stessa, andrai tranquilla
al talamo d’Augusto? Ah mi vedrei
sempre Sesto d’intorno; e l’aure e i sassi
temerei che loquaci
mi scoprissero a Tito. A’ piedi suoi
vadasi il tutto a palesar; si scemi
il delitto di Sesto,
se scusar non si può, col fallo mio.
D’impero e d’imenei speranze, addio.
Rondò
VITELLIA Non più di fiori
vaghe catene
discenda Imene
ad intrecciar.
Stretta fra barbare
aspre ritorte
veggo la morte
ver me avanzar.
Infelice! Qual orrore!
Ah di me che si dirà?
Chi vedesse il mio dolore
pur avria di me pietà.
SCENA XVI
Coro, Tito, Annio, Servilia
Coro Che del ciel, che degli dei
tu il pensier, l’amor tu sei,
grand’eroe, nel giro angusto
si mostrò di questo dì.
Ma cagion di meraviglia
non è già, felice Augusto,
che gli dei chi lor somiglia
custodiscano così.
Recitativo
TITO Pria che principio a’ lieti
spettacoli si dia, custodi, innanzi
conducetemi il reo. (Più di perdono
speme non ha. Quanto aspettato meno
più caro esser gli dee.)
ANNIO Pietà, signore.
SERVILIA Signor, pietà.
TITO Se a chiederla venite
per Sesto, è tardi. È il suo destin deciso.
ANNIO E sì tranquillo in viso
lo condanni a morir?
SERVILIA Di Tito il core
come il dolce perdé costume antico?
TITO Ei si appressa: tacete.
SERVILIA Oh Sesto!
ANNIO Oh amico!
SCENA ULTIMA
Tito, Vitellia, Servilia, Publio, Sesto
Recitativo
TITO Sesto, de’ tuoi delitti
tu sai la serie e sai
qual pena ti si dee. Roma sconvolta,
l’offesa maestà, le leggi offese,
l’amicizia tradita, il mondo, il cielo
voglion la morte tua. De’ tradimenti
sai pur ch’io son l’unico oggetto. Or senti.
VITELLIA Eccoti, eccelso Augusto,
eccoti al piè la più confusa…
TITO Ah sorgi!
Che fai? Che brami?
VITELLIA Io ti conduco innanzi
l’autor dell’empia trama.
TITO Ov’è? Chi mai
preparò tante insidie al viver mio?
VITELLIA Nol crederai.
TITO Perché?
VITELLIA Perché son io.
TITO Tu ancora?
SESTO, SERVILIA Oh stelle!
ANNIO, PUBLIO Oh numi!
TITO E quanti mai,
quanti siete a tradirmi?
VITELLIA Io la più rea
son di ciascuno! Io meditai la trama,
il più fedele amico
io ti sedussi, io del suo cieco amore
a tuo danno abusai.
TITO Ma del tuo sdegno
chi fu cagion?
VITELLIA La tua bontà. Credei
che questa fosse amor. La destra e ‘l trono
da te sperava in dono, e poi negletta
restai due volte e procurai vendetta.
TITO Ma che giorno è mai questo? Al punto stesso
che assolvo un reo ne scopro un altro! E quando
troverò, giusti numi,
un’anima fedel? Congiuran gli astri,
cred’io, per obbligarmi a mio dispetto
a diventar crudel. No, non avranno
questo trionfo. A sostener la gara
già m’impegnò la mia virtù. Vediamo
se più costante sia
l’altrui perfidia o la clemenza mia.
Olà, Sesto si sciolga; abbian di nuovo
Lentulo e i suoi seguaci
e vita e libertà; sia noto a Roma
ch’io son lo stesso e ch’io
tutto so, tutti assolvo e tutto oblio.
Sestetto
SESTO Tu, è ver, m’assolvi, Augusto,
ma non m’assolve il core
che piangerà l’errore
finché memoria avrà.
TITO Il vero pentimento
di cui tu sei capace
val più d’una verace
costante fedeltà.
VITELLIA, SERVILIA, ANNIO Oh generoso! Oh grande!
E chi mai giunse a tanto?
Mi trae dagli occhi il pianto
l’eccelsa sua bontà.
VITELLIA, SERVILIA, ANNIO, SESTO, TITO, PUBLIO Eterni dei, vegliate
sui sacri giorni suoi:
a Roma in lui serbate
la sua felicità.
TITO Troncate, eterni dei,
troncate i giorni miei
quel dì che il ben di Roma
mia cura non sarà.
SCENA I
Annio, Sesto
Recitativo
ANNIO Sesto, come tu credi,
Augusto non perì. Calma il tuo duolo.
In questo punto ei torna
illeso dal tumulto.
SESTO Eh tu m’inganni.
Io stesso lo mirai cader trafitto
da scellerato acciaro.
ANNIO Dove?
SESTO Nel varco angusto onde si ascende
quinci presso al Tarpeo.
ANNIO No, travedesti.
Tra il fumo e tra il tumulto
altri Tito ti parve.
SESTO Altri! E chi mai
delle cesaree vesti
ardirebbe adornarsi? Il sacro alloro,
l’augusto ammanto…
ANNIO Ogni argomento è vano.
Vive Tito, ed è illeso. In questo istante
io da lui mi divido.
SESTO Oh dei pietosi!
Oh caro prence! Oh dolce amico! Ah lascia
che a questo sen… Ma non m’inganni?
ANNIO Io merto
sì poca fé? Dunque tu stesso a lui
corri, e ‘l vedrai.
SESTO Ch’io mi presenti a Tito
dopo averlo tradito?
ANNIO Tu lo tradisti?
SESTO Io del tumulto, io sono
il primo autor.
ANNIO Come! Perché?
SESTO Non posso
dirti di più.
ANNIO Sesto è infedele!
SESTO Amico,
m’ha perduto un istante. Addio. M’involo
alla patria per sempre.
Ricordati di me. Tito difendi
da nuove insidie. Io vo ramingo, afflitto
a pianger fra le selve il mio delitto.
ANNIO Fermati. Oh dei! Pensiamo… Incolpan molti
di questo incendio il caso, e la congiura
non è certa finora…
SESTO Ebben, che vuoi?
ANNIO Che tu non parta ancora.
Aria
ANNIO Torna di Tito a lato.
Torna e l’error passato
con replicate emenda
prove di fedeltà.
L’acerbo tuo dolore
è segno manifesto
che di virtù nel core
l’immagine ti sta.
SCENA II
Sesto, Vitellia
Recitativo
SESTO Partir deggio o restar? Io non ho mente
per distinguer consigli.
VITELLIA Sesto, fuggi, conserva
la tua vita, e ‘l mio onor. Tu sei perduto,
se alcun ti scopre, e se scoperto sei,
pubblico è il mio secreto
SESTO In questo seno
sepolto resterà. Nessuno il seppe.
Tacendolo morrò.
VITELLIA Mi fiderei,
se minor tenerezza
per Tito in te vedessi. Il suo rigore
non temo già, la sua clemenza io temo:
questa ti vincerà.
SCENA III
Publio, Sesto, Vitellia Publio
Recitativo
PUBLIO Sesto.
SESTO Che chiedi?
PUBLIO La tua spada.
SESTO E perché?
PUBLIO Colui, che cinto
delle spoglie regali agli occhi tuoi
cadde trafitto al suolo, ed ingannato
dall’apparenza tu credesti Tito,
era Lentulo. Il colpo
la vita a lui non tolse. Il resto intendi.
Vieni.
VITELLIA (Oh colpo fatale!)
SESTO Alfin, tiranna…
PUBLIO Sesto, partir conviene. È già raccolto
per udirti il Senato, e non poss’io
differir di condurti.
SESTO Ingrata, addio.
SCENA IV
Publio, Sesto, Vitellia
Terzetto
SESTO Se al volto mai ti senti
lieve aura che s’aggiri,
gli estremi miei sospiri
quell’alito sarà.
VITELLIA Per me vien tratto a morte.
Ah dove mai m’ascondo?
Fra poco noto al mondo
il fallo mio sarà.
PUBLIO Vieni…
SESTO Ti seguo… Addio.
VITELLIA Senti… Mi perdo… Oh dio!
PUBLIO Vieni…
VITELLIA Che crudeltà!
SESTO Rammenta chi t’adora
in questo stato ancora.
Mercede al mio dolore
sia almen la tua pietà.
VITELLIA (Mi laceran il core
rimorso, orror, spavento!
Quel che nell’alma io sento
di duol morir mi fa.)
PUBLIO (L’acerbo amaro pianto,
che da’ suoi lumi piove,
l’anima mi commove,
ma vana è la pietà.)
SCENA V
Tito, Publio, Coro
Coro
CORO Ah grazie si rendano
al sommo fattor
che in Tito del trono
salvò lo splendor.
TITO Ah no, sventurato
non sono cotanto,
se in Roma il mio fato
si trova compianto,
se voti per Tito
si formano ancor.
CORO Ah grazie si rendano…
Recitativo
PUBLIO Già de’ pubblici giochi,
signor, l’ora trascorre. Il dì solenne
sai che non soffre il trascurarli. È tutto
colà d’intorno alla festiva arena
il popolo raccolto, e non s’attende
che la presenza tua. Ciascun sospira
dopo il noto periglio
di rivederti salvo. Alla tua Roma
non differir sì bel contento.
TITO Andremo,
Publio, fra poco. Io non avrei riposo,
se di Sesto il destino
pria non sapessi. Avrà il Senato omai
le sue discolpe udite; avrà scoperto,
vedrai, ch’egli è innocente; e non dovrebbe
tardar molto l’avviso.
PUBLIO Ah troppo chiaro
Lentulo favellò.
TITO Lentulo forse
cerca al fallo un compagno
per averlo al perdono. Ei non ignora
quanto Sesto m’è caro. Arte comune
questa è de’ rei. Pur dal Senato ancora
non torna alcun. Che mai sarà? Va’, chiedi:
che si fa, che si attende? Io voglio tutto
saper pria di partir.
PUBLIO Vado, ma temo
di non tornar nunzio felice.
TITO E puoi
creder Sesto infedele? Io dal mio core
il suo misuro, e un impossibil parmi
ch’egli m’abbia tradito.
PUBLIO Ma, signor, non han tutti il cor di Tito.
Aria
PUBLIO Tardi s’avvede
d’un tradimento
chi mai di fede
mancar non sa.
Un cor verace,
pieno d’onore,
non è portento,
se ogn’altro core
crede incapace
d’infedeltà.
SCENA VI
Tito, Annio
Recitativo
TITO No, così scellerato
il mio Sesto non credo. Io l’ho veduto
non sol fido ed amico,
ma tenero per me. Tanto cambiarsi
un’alma non potrebbe. Annio, che rechi?
L’innocenza di Sesto?
Consolami.
ANNIO Signor, pietà per lui
ad implorar io vengo.
SCENA VII
Publio, Tito, Annio
Recitativo
PUBLIO Cesare, nol diss’io? Sesto è l’autore
della trama crudel.
TITO Publio, ed è vero?
PUBLIO Purtroppo. Ei di sua bocca
tutto affermò. Co’ complici il Senato
alle fiere il condanna. Ecco il decreto
terribile, ma giusto,
né vi manca, o signor, che il nome augusto.
TITO Onnipossenti dei!
ANNIO Ah pietoso monarca…
TITO Annio, per ora
lasciami in pace.
PUBLIO Alla gran pompa unite
sai che le genti omai…
TITO Lo so. Partite.
ANNIO Deh perdona s’io parlo
in favor d’un insano.
Della mia cara sposa egli è germano.
Aria
ANNIO
Tu fosti tradito,
ei degno è di morte,
ma il core di Tito
pur lascia sperar.
Deh prendi consiglio,
signor, dal tuo core.
Il nostro dolore
ti degna mirar.
SCENA VIII
Tito
Recitativo
TITO Che orror! Che tradimento!
Che nera infedeltà! Fingersi amico,
essermi sempre al fianco, ogni momento
esiger dal mio core
qualche prova d’amore, e starmi intanto
preparando la morte! Ed io sospendo
ancor la pena? E la sentenza ancora
non segno?…Ah sì, lo scellerato mora.
Mora!… Ma senza udirlo
mando Sesto a morir? Sì, già l’intese
abbastanza il Senato. E s’egli avesse
qualche arcano a svelarmi? Olà, s’ascolti,
e poi vada al supplizio. A me si guidi
Sesto. È pur di chi regna
infelice il destino! A noi si nega
ciò che a’ più bassi è dato. In mezzo al bosco
quel villanel mendìco, a cui circonda
ruvida lana il rozzo fianco, a cui
è mal fido riparo
dall’ingiurie del ciel tugurio informe,
placido i sonni dorme,
passa tranquillo i dì. Molto non brama.
Sa chi l’odia e chi l’ama. Unito o solo
torna sicuro alla foresta, al monte,
e vede il core a ciascheduno in fronte.
Noi fra tante ricchezze
sempre incerti viviam, ché in faccia a noi
la speranza o il timore
sulla fronte d’ognun trasforma il core.
Chi dall’infido amico, olà, chi mai
questo temer dovea?
SCENA IX
Tito, Publio
Recitativo
TITO Ma, Publio, ancora
Sesto non viene?
PUBLIO Ad eseguire il cenno
già volaro i custodi.
TITO Io non comprendo
un sì lungo tardar.
PUBLIO Pochi momenti
sono scorsi, o signor.
TITO
Vanne tu stesso.
Affrettalo.
PUBLIO Ubbidisco… I tuoi littori
veggonsi comparir. Sesto dovrebbe
non molto esser lontano. Eccolo.
TITO Ingrato!
All’udir che s’appressa
già mi parla a suo pro l’affetto antico.
Ma no, trovi il suo prence e non l’amico.
SCENA X
Tito, Publio, Sesto
Terzetto
SESTO (Quello di Tito è il volto!
Ah dove, oh stelle, è andata
la sua dolcezza usata?
Or ei mi fa tremar.)
TITO (Eterni dei, di Sesto
dunque il sembiante è questo!
Oh come può un delitto
un volto trasformar!)
PUBLIO (Mille diversi affetti
in Tito guerra fanno.
S’ei prova un tale affanno,
lo seguita ad amar.)
TITO Avvicinati!
SESTO (Oh voce
che piombami sul core!)
TITO Non odi?
SESTO (Di sudore
mi sento, oh dio, bagnar!)
TITO, PUBLIO (Palpita il traditore,
né gli occhi ardisce alzar.)
SESTO (Oh dio, non può chi more,
non può di più penar.)
Recitativo
TITO (Eppur mi fa pietà.) Publio, custodi,
lasciatemi con lui.
SESTO (No, di quel volto
non ho costanza a sostener l’impero.)
TITO Ah Sesto, è dunque vero?
Dunque vuoi la mia morte? In che t’offese
il tuo prence, il tuo padre,
il tuo benefattor? Se Tito augusto
hai potuto obliar, di Tito amico
come non ti sovvenne? Il premio è questo
della tenera cura
ch’ebbi sempre di te? Di chi fidarmi
in avvenir potrò, se giunse, oh dei,
anche Sesto a tradirmi? E lo potesti?
E ‘l cor te lo sofferse?
SESTO Ah Tito, ah mio
clementissimo prence,
non più, non più! Se tu veder potessi
questo misero cor, spergiuro, ingrato
pur ti farei pietà. Tutte ho sugli occhi
tutte le colpe mie, tutti rammento
i benefici tuoi. Soffrir non posso
né l’idea di me stesso
né la presenza tua. Quel sacro volto,
la voce tua, la tua clemenza istessa
diventò mio supplizio. Affretta almeno,
affretta il mio morir. Toglimi presto
questa vita infedel. Lascia ch’io versi,
se pietoso esser vuoi,
questo perfido sangue ai piedi tuoi.
TITO Sorgi, infelice. (Il contenersi è pena
a quel tenero pianto.) Or vedi a quale
lacrimevole stato
un delitto riduce, una sfrenata
avidità d’impero! E che sperasti
di trovar mai nel trono? Il sommo forse
d’ogni contento? Ah sconsigliato! Osserva
quai frutti io ne raccolgo;
e bramalo, se puoi.
SESTO No, questa brama
non fu che mi sedusse.
TITO Dunque che fu?
SESTO La debolezza mia,
la mia fatalità.
TITO Più chiaro almeno
spiegati.
SESTO Oh dio, non posso!
TITO Odimi, o Sesto.
Siam soli, il tuo sovrano
non è presente. Apri il tuo core a Tito,
confidati all’amico. Io ti prometto
che Augusto nol saprà. Del tuo delitto
di’ la prima cagion. Cerchiamo insieme
una via di scusarti. Io ne sarei
forse di te più lieto.
SESTO Ah la mia colpa
non ha difesa.
TITO In contraccambio almeno
d’amicizia lo chiedo. Io non celai
alla tua fede i più gelosi arcani:
merito ben che Sesto
mi fidi un suo segreto.
SESTO (Ecco una nuova
specie di pena! O dispiacere a Tito
o Vitellia accusar.)
TITO Dubiti ancora?
Ma, Sesto, mi ferisci
nel più vivo del cor. Vedi che troppo
tu l’amicizia oltraggi
con questo diffidar. Pensaci. Appaga
il mio giusto desio.
SESTO (Ma qual astro splendeva al nascer mio!)
TITO E taci? E non rispondi? Ah giacché puoi
tanto abusar di mia pietà…
SESTO Signore…
Sappi dunque… (Che fo?)
TITO Siegui.
SESTO (Ma quando
finirò di penar?)
TITO Parla una volta:
che mi volevi dir?
SESTO Ch’io son l’oggetto
dell’ira degli dei; che la mia sorte
non ho più forza a tollerar; ch’io stesso
traditor mi confesso, empio mi chiamo;
ch’io merito la morte e ch’io la bramo.
TITO Sconoscente! E l’avrai. Custodi, il reo
toglietemi d’innanzi.
SESTO Il bacio estremo
su quella invitta man…
TITO Parti: non è più tempo,
or tuo giudice sono.
SESTO Ah sia questo, signor, l’ultimo dono.
Rondò
SESTO Deh per questo istante solo
ti ricorda il primo amor,
ché morir mi fa di duolo
il tuo sdegno, il tuo rigor.
Di pietade indegno, è vero,
sol spirar io deggio orror.
Pur saresti men severo,
se vedessi questo cor.
Disperato vado a morte,
ma il morir non mi spaventa;
il pensiero mi tormenta
che fui teco un traditor.
(Tanto affanno soffre un core,
né si more di dolor.)
SCENA XI
Tito
Recitativo
TITO Ove s’intese mai più contumace
infedeltà? Deggio alla mia negletta
disprezzata clemenza una vendetta.
Vendetta!… Il cor di Tito
tali sensi produce?… Eh viva… Invano
parlar dunque le leggi? Io lor custode
l’eseguisco così? Di Sesto amico
non sa Tito scordarsi?
Ogn’altro affetto
d’amicizia e pietà taccia per ora.
Sesto è reo: Sesto mora. Eccoci aspersi
di cittadino sangue, e s’incomincia
dal sangue d’un amico. Or che diranno
i posteri di noi? Diran che in Tito
si stancò la clemenza,
come in Silla e in Augusto
la crudeltà; che Tito era l’offeso
e che le proprie offese,
senza ingiuria del giusto,
ben poteva obliar. Ma dunque faccio
sì gran forza al mio cor? Né almen sicuro
sarò ch’altri m’approvi? Ah non si lasci
il solito cammin. Viva l’amico!
benché infedele. E se accusarmi il mondo
vuol pur di qualche errore,
m’accusi di pietà, non di rigore.
Publio.
SCENA XII
Publio, Tito
Recitativo
PUBLIO Cesare.
TITO Andiamo
al popolo che attende.
PUBLIO E Sesto?
TITO E Sesto
venga all’arena ancor.
PUBLIO Dunque il suo fato…
TITO Sì, Publio, è già deciso.
PUBLIO (Oh sventurato!)
Aria
TITO Se all’impero, amici dei,
necessario è un cor severo,
o togliete a me l’impero
o a me date un altro cor.
Se la fé de’ regni miei
coll’amor non assicuro,
d’una fede non mi curo
che sia frutto del timor.
SCENA XIII
Vitellia, Publio
Recitativo
VITELLIA Publio, ascolta.
PUBLIO Perdona,
deggio a Cesare appresso
andar…
VITELLIA Dove?
PUBLIO All’arena.
VITELLIA E Sesto?
PUBLIO Anch’esso.
VITELLIA Dunque morrà?
PUBLIO Purtroppo.
VITELLIA (Ohimè!) Con Tito
Sesto ha parlato?
PUBLIO E lungamente.
VITELLIA E sai
quel ch’ei dicesse?
PUBLIO No, solo con lui
restar Cesare volle: escluso io fui.
SCENA XIV
Vitellia, Annio, Servilia
Recitativo
VITELLIA Non giova lusingarsi;
Sesto già mi scoperse. A Publio istesso
si conosce sul volto. Ei non fu mai
con me sì ritenuto; ei fugge; ei teme
di restar meco. Ah secondato avessi
gl’impulsi del mio cor! Per tempo a Tito
dovea svelarmi e confessar l’errore.
Sempre in bocca d’un reo, che la detesta,
scema d’orror la colpa. Or questo ancora
tardi saria. Seppe il delitto Augusto,
e non da me. Questa ragione istessa
fa più grave…
SERVILIA Ah Vitellia!
ANNIO Ah principessa!
SERVILIA Il misero germano…
ANNIO Il caro amico…
SERVILIA È condotto a morir.
ANNIO Fra poco in faccia
di Roma spettatrice
delle fiere sarà pasto infelice.
VITELLIA Ma che posso per lui?
SERVILIA Tutto. A’ tuoi prieghi
Tito lo donerà.
ANNIO Non può negarlo
alla novella Augusta.
VITELLIA Annio, non sono
augusta ancor.
ANNIO Pria che tramonti il sole
Tito sarà tuo sposo. Or, me presente,
per le pompe festive il cenno ei diede.
VITELLIA (Dunque Sesto ha taciuto! Oh amore! Oh fede!)
Annio, Servilia, andiam. (Ma dove corro
così senza pensar?) Partite, amici:
vi seguirò.
ANNIO Ma se d’un tardo aiuto
Sesto fidar si dee, Sesto è perduto.
SERVILIA Andiam. Quell’infelice
t’amò più di sé stesso: avea fra’ labbri
sempre il tuo nome, impallidia qualora
si parlava di te. Tu piangi!
VITELLIA Ah parti.
SERVILIA Ma tu perché restar? Vitellia, ah parmi…
VITELLIA Oh dei, parti! Verrò, non tormentarmi.
Aria
SERVILIA S’altro che lagrime
per lui non tenti,
tutto il tuo piangere
non gioverà.
A questa inutile
pietà che senti,
oh quanto è simile
la crudeltà!
SCENA XV
Vitellia
Recitativo
VITELLIA Ecco il punto, o Vitellia,
d’esaminar la tua costanza. Avrai
valor che basti a rimirar esangue
il Sesto tuo fedel? Sesto che t’ama
più della vita sua? Che per tua colpa
divenne reo? Che t’ubbidì crudele?
Che ingiusta t’adorò? Che in faccia a morte
sì gran fede ti serba? E tu frattanto,
non ignota a te stessa, andrai tranquilla
al talamo d’Augusto? Ah mi vedrei
sempre Sesto d’intorno; e l’aure e i sassi
temerei che loquaci
mi scoprissero a Tito. A’ piedi suoi
vadasi il tutto a palesar; si scemi
il delitto di Sesto,
se scusar non si può, col fallo mio.
D’impero e d’imenei speranze, addio.
Rondò
VITELLIA Non più di fiori
vaghe catene
discenda Imene
ad intrecciar.
Stretta fra barbare
aspre ritorte
veggo la morte
ver me avanzar.
Infelice! Qual orrore!
Ah di me che si dirà?
Chi vedesse il mio dolore
pur avria di me pietà.
SCENA XVI
Coro, Tito, Annio, Servilia
Coro Che del ciel, che degli dei
tu il pensier, l’amor tu sei,
grand’eroe, nel giro angusto
si mostrò di questo dì.
Ma cagion di meraviglia
non è già, felice Augusto,
che gli dei chi lor somiglia
custodiscano così.
Recitativo
TITO Pria che principio a’ lieti
spettacoli si dia, custodi, innanzi
conducetemi il reo. (Più di perdono
speme non ha. Quanto aspettato meno
più caro esser gli dee.)
ANNIO Pietà, signore.
SERVILIA Signor, pietà.
TITO Se a chiederla venite
per Sesto, è tardi. È il suo destin deciso.
ANNIO E sì tranquillo in viso
lo condanni a morir?
SERVILIA Di Tito il core
come il dolce perdé costume antico?
TITO Ei si appressa: tacete.
SERVILIA Oh Sesto!
ANNIO Oh amico!
SCENA ULTIMA
Tito, Vitellia, Servilia, Publio, Sesto
Recitativo
TITO Sesto, de’ tuoi delitti
tu sai la serie e sai
qual pena ti si dee. Roma sconvolta,
l’offesa maestà, le leggi offese,
l’amicizia tradita, il mondo, il cielo
voglion la morte tua. De’ tradimenti
sai pur ch’io son l’unico oggetto. Or senti.
VITELLIA Eccoti, eccelso Augusto,
eccoti al piè la più confusa…
TITO Ah sorgi!
Che fai? Che brami?
VITELLIA Io ti conduco innanzi
l’autor dell’empia trama.
TITO Ov’è? Chi mai
preparò tante insidie al viver mio?
VITELLIA Nol crederai.
TITO Perché?
VITELLIA Perché son io.
TITO Tu ancora?
SESTO, SERVILIA Oh stelle!
ANNIO, PUBLIO Oh numi!
TITO E quanti mai,
quanti siete a tradirmi?
VITELLIA Io la più rea
son di ciascuno! Io meditai la trama,
il più fedele amico
io ti sedussi, io del suo cieco amore
a tuo danno abusai.
TITO Ma del tuo sdegno
chi fu cagion?
VITELLIA La tua bontà. Credei
che questa fosse amor. La destra e ‘l trono
da te sperava in dono, e poi negletta
restai due volte e procurai vendetta.
TITO Ma che giorno è mai questo? Al punto stesso
che assolvo un reo ne scopro un altro! E quando
troverò, giusti numi,
un’anima fedel? Congiuran gli astri,
cred’io, per obbligarmi a mio dispetto
a diventar crudel. No, non avranno
questo trionfo. A sostener la gara
già m’impegnò la mia virtù. Vediamo
se più costante sia
l’altrui perfidia o la clemenza mia.
Olà, Sesto si sciolga; abbian di nuovo
Lentulo e i suoi seguaci
e vita e libertà; sia noto a Roma
ch’io son lo stesso e ch’io
tutto so, tutti assolvo e tutto oblio.
Sestetto
SESTO Tu, è ver, m’assolvi, Augusto,
ma non m’assolve il core
che piangerà l’errore
finché memoria avrà.
TITO Il vero pentimento
di cui tu sei capace
val più d’una verace
costante fedeltà.
VITELLIA, SERVILIA, ANNIO Oh generoso! Oh grande!
E chi mai giunse a tanto?
Mi trae dagli occhi il pianto
l’eccelsa sua bontà.
VITELLIA, SERVILIA, ANNIO, SESTO, TITO, PUBLIO Eterni dei, vegliate
sui sacri giorni suoi:
a Roma in lui serbate
la sua felicità.
TITO Troncate, eterni dei,
troncate i giorni miei
quel dì che il ben di Roma
mia cura non sarà.