LEPORELLO – Don Giovanni – Mozart

LEPORELLO

Don Giovanni
Libretto by Lorenzo da Ponte for Wolfgang Amadeus Mozart

 

 

 

Album price: 8,00

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ATTO I SCENA 1
Introduzione
Notte e giorno faticar
per chi nulla sa gradir;
piova e vento sopportar,
mangiar male e mal dormir…
Voglio far il gentiluomo,
e non voglio più servir.
Oh che caro galantuomo,
voi star dentro colla bella,
ed io far la sentinella!
Ma mi par che venga gente;
non mi voglio far sentir.
Che tumulto! Oh ciel, che gridi!
Sta’ a veder che il malandrino
mi farà precipitar.
Potessi almeno
di qua partir!
Qual misfatto! qual eccesso!
Entro il sen dallo spavento
palpitar il cor mi sento;
io non so che far, che dir.
Il padron in nuovi guai.
SCENA 2
Son qui per mia disgrazia, e voi?
Chi è morto, voi o il vecchio?
Bravo!
due imprese leggiadre!
Sforzar la figlia ed ammazzar il padre.
Ma Donn’Anna
cosa ha voluto?
Non vo nulla, Signor, non parlo più.
SCENA 4
L’affar di cui si tratta
è importante.
È importantissimo.
Giurate
di non andar in collera.
Siamo soli?
Nessun ci sente.
Vi posso dire
tutto liberamente?
Dunque, quand’è così,
caro signor padrone,
la vita che menate è da briccone.
E il giuramento!
Non parlo più, non fiato, o padron mio.
Non ne so nulla:
ma essendo l’alba chiara, non sarebbe
qualche nuova conquista?
Io lo devo saper per porla in lista.
(Cospetto!
Che odorato perfetto!)
(E che occhio, dico!)
(Già prese foco.)
SCENA 5
(Così ne consolò mille e ottocento.)
Recitativo
Oh bella, Donna Elvira!
(Che titoli cruscanti! Manco male
che lo conosce bene.)
(Pare un libro stampato.)
È vero.
E che ragioni forti!
(Salvo il vero.)
E cosa devo dirle?
Madama… veramente… in questo mondo
conciossia cosa quando fosse che
il quadro non è tondo…
Eh lasciate che vada; egli non merta
che di lui ci pensiate…
Eh consolatevi:
non siete voi,
non foste e non sarete
né la prima né l’ultima, guardate,
questo non picciol libro; è tutto pieno
dei nomi di sue belle.
Ogni villa, ogni borgo, ogni paese
è testimon di sue donnesche imprese.
Aria
Madamina, il catalogo è questo
delle belle che amò il padron mio;
un catalogo egli è che ho fatto io,
osservate, leggete con me.
In Italia seicento e quaranta,
in Lamagna duecento e trentuna,
cento in Francia, in Turchia novantuna,
ma in Ispagna son già mille e tre.
V’han fra queste contadine,
cameriere e cittadine,
v’han contesse, baronesse,
marchesane, principesse,
e v’han donne d’ogni grado,
d’ogni forma, d’ogni età.
Nella bionda egli ha l’usanza
di lodar la gentilezza,
nella bruna la costanza,
nella bianca la dolcezza.
Vuol d’inverno la grassotta,
vuol d’estate la magrotta;
e la grande maestosa,
la piccina è ognor vezzosa.
Delle vecchie fa conquista
pel piacer di porle in lista,
ma passion predominante
è la giovin principiante,
Non si picca se sia ricca,
se sia brutta, se sia bella:
purché porti la gonnella
Voi sapete quel che fa.
SCENA 8
Tra tante, per mia fé,
vi sarà qualche cosa anche per me.
Basta che sia marito!
Anch’io caro padrone
esibisco la mia protezione.
Ho capito: andiam.
SCENA 15
Io deggio ad ogni patto
per sempre abbandonar questo bel matto!
Eccolo qui: guardate
con qual indifferenza se ne viene!
Don Giovannino mio, va tutto male!
Vado a casa,
come voi l’ordinaste,
con tutta quella gente…
A forza
di chiacchiere, di vezzi e di bugie,
ch’ho imparato sì bene a star con voi,
cerco d’intrattenerli…
mille cose a Masetto, per placarlo,
per trargli dal pensier la gelosia.
Faccio che bevano
e gli uomini e le donne.
Son già mezzo ubriachi,
altri canta, altri scherza,
altri seguita a ber; in sul più bello
chi credete che capiti?
Bravo! E con lei chi viene?
Bravo! E disse di voi…
Bravo, in coscienza mia!
Tacqui.
Seguì a gridar.
Quando mi parve
che già fosse sfogata, dolcemente
fuor dell’orto la trassi e, con bell’arte
chiusa la porta a chiave, io mi cavai
e sulla via soletta la lasciai.
SCENA 19
Signor, guardate un poco
che maschere galanti.
Zi zi, signore maschere!
Zi zi…
Al ballo, se vi piace,
v’invita il mio signor.
L’amico anche su quelle
prove farà d’amor.
SCENA 20
Rinfrescatevi, bei giovinotti.
Tornerete a far presto le pazze,
tornerete a scherzar e ballar.
Cioccolatte!
Confetti!
Sei pur cara, Giannotta, Sandrina!
Quel Masetto mi par stralunato,
qui bisogna cervello adoprar.
Venite pur avanti,
vezzose mascherette.
Da bravi, via, ballate.
Va bene in verità!
Non balli, poveretto.
Vien qua, Masetto caro,
facciam quel ch’altri fa.
Eh balla, amico mio.
Qui nasce una ruina.
Ah cosa fate!
È confusa la sua testa,
non so più quel ch’ei si faccia,
e un’orribile tempesta
minacciando, oddio, lo va.
Ma non manca lui coraggio
non si perde o si confonde
se cadesse ancor il mondo,
nulla mai temer lo fa.

 

 

ATTO II SCENA 1
Duetto
No no, padrone,
non vo’ restar.
Vo’ andar, vi dico.
Oh niente affatto!
Quasi ammazzarmi!
Ed io non burlo,
ma voglio andar.
Recitativo
Signore.
Cosa?
Oh sentite,
per questa volta
la cerimonia accetto,
ma non vi ci avvezzate; non credete
di sedurre i miei pari,
come le donne, a forza di danari.
Purché lasciam le donne.
E avete core
d’ingannarle poi tutte?
Non ho veduto mai
naturale più vasto e più benigno.
Orsù, cosa vorreste?
Io no.
E perché non potreste
presentarvi col vostro?
Signor… per più ragioni…
SCENA 2
Terzetto
Zitto; di Donna Elvira,
Signor, la voce io sento.
(State a veder la pazza
che ancor gli crederà.)
Se seguitate, io rido.
(Già quel mendace labbro
torna a sedur costei.
Deh proteggete, o Dei,
la sua credulità!)
Recitativo
Mi par che abbiate
un’anima di bronzo.
Ma Signor…
E se poi mi conosce?
SCENA 3
(Che imbroglio!)
Sì, carina!
Io, vita mia?
Poverina! quanto mi dispiace!
No, muso bello.
Sempre.
Carissima! (La burla mi dà gusto.)
Mia Venere!
Io tutto cenere.
No sicuro.
Lo giuro a questa mano
che bacio con trasporto, e a quei bei lumi…
Oh numi!
SCENA 7
Recitativo
Di molte faci il lume
s’avvicina, o mio ben, stiamo qui un poco
fin che da noi si scosta.
Nulla… nulla…
Certi riguardi, io vo veder se il lume
è già lontano… (ah come
da costei liberarmi?)
Rimanti, anima bella.
Sestetto
Più che cerco, men ritrovo
questa porta sciagurata…
Piano piano, l’ho trovata,
ecco il tempo di fuggir.
Se mi trova, son perduto.
SCENA 8
Sestetto
Perdon, perdono,
signori miei,
quello io non sono,
sbaglia costei;
viver lasciatemi,
per carità!
Mille torbidi pensieri
mi s’aggiran per la testa;
se mi salvo in tal tempesta
è un prodigio in verità!
SCENA 9
Aria
Ah pietà, signori miei,
ah pietà, pietà di me!
Do ragione a voi, a lei,
ma il delitto mio non è.
Il padron con prepotenza
l’innocenza mi rubò.
Donna Elvira, compatite,
voi capite come andò!
Di Masetto non so nulla,
vel dirà questa fanciulla,
è un’oretta circumcirca,
che con lei girando vo.
A voi, signore,
non dico niente
certo timore
certo accidente
di fuori chiaro,
di dentro oscuro
Non c’è riparo…
La porta… il muro…
Vo da quel lato…
Poi qui celato…
L’affar si sa.
Ma s’io sapeva,
fuggia per qua.
SCENA 11
Recitativo
Alfin vuole ch’io faccia un precipizio.
Chi mi chiama?
Così nol conoscessi!
Ah siete voi, scusate.
Per cagion vostra io fui quasi accoppato.
Signor, vel dono.
Ma cosa fate qui?
Donnesca al certo.
Non lo so.
Per me?
Va bene.
Ancora meglio.
Oh maledetto!
E mi dite la cosa
con tale indifferenza!
Ma se fosse
costei stata mia moglie!
Ah qualche anima
sarà dell’altro mondo
che vi conosce a fondo.
Ve l’ho detto.
Scusate…
non ho imparato a leggere
a’ raggi della luna…
Dell’empio che mi trasse al passo estremo
qui attendo la vendetta.
Udiste? Io tremo!
Che pazzia! ma vi par… Oh Dei, mirate
che terribili occhiate egli ci dà.
Par vivo! Par che senta!
E che voglia parlar…
Piano piano, signore, ora ubbidisco.
Duetto
O statua gentilissima
del gran Commendator…
Padron mi trema il core,
non posso terminar.
Che impiccio, che capriccio,
io sentomi gelar.
O statua gentilissima,
benché di marmo siate…
Ah padron mio, mirate
che seguita a guardar.
No no, attendete…
Signor, il padron mio…
badate ben, non io,
vorria con voi cenar.
Ah ah!
Che scena è questa?
Oh ciel, chinò la testa!
Guardate ancor, padrone.
Colla marmorea testa
ei fa così, così.
Mover mi posso appena…
Mi manca, oh Dei, la lena!
Per carità, partiamo,
andiamo via di qui.
SCENA 13
Son prontissimo a ubbidir.
Bravi! “Cosa rara”!
È conforme al vostro merto.
Ah che barbaro appetito!
Che bocconi da gigante,
mi par proprio di svenir.
Servo.
(Questo pezzo di fagiano
piano piano vo’ inghiottir.)
Padron mio…
Non mi lascia una flussione
le parole proferir.
Non so far…
Scusate.
Sì eccellente è il vostro cuoco,
che lo volli anch’io provar.
SCENA 14
Cos’è? Cos’è?
(Quasi da piangere
mi fa costei.)
Cor perfido!
Se non si muove
nel suo dolore
di sasso ha il core,
o cor non ha.
Che grido è questo mai!
Ah signor… per carità!…
Non andate fuor di qua!…
L’uom di sasso… l’uomo bianco…
Ah padrone!… io gelo… io manco…
Se vedeste che figura!
Se sentiste come fa.
Ta ta ta ta ta ta ta ta.
Ah sentite!
Io tremo.
Non vo’ più veder l’amico,
pian pianin m’asconderò.
SCENA 15
Ah padron! Siam tutti morti!
La terzana d’avere mi sembra,
e le membra fermar più non so.
Ah le membra fermar più non so.
Oibò!
Tempo non ha, scusate.
Dite di no.
Che ceffo disperato!
Che gesti da dannato!
Che gridi, che lamenti!
Come mi fa terror!
SCENA ULTIMA
Più non sperate…
di ritrovarlo…
Più non cercate
lontano andò.
Venne un colosso…
Ma se non posso…
Tra fumo e foco…
badate un poco…
l’uomo di sasso…
fermate il passo…
giusto là sotto…
diede il gran botto…
giusto là il diavolo
sel’ trangugiò.
Vero è l’evento.
Ed io vado all’osteria
a trovar padron miglior.
Resti dunque quel birbon
con Proserpina e Pluton;
e noi tutti, o buona gente,
ripetiam allegramente
l’antichissima canzon.
Questo è il fin di chi fa mal:
e de’ perfidi la morte
alla vita è sempre ugual.
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