DONN’ANNA – Don Giovanni – Mozart

DONN’ANNA

Don Giovanni
Libretto by Lorenzo da Ponte for Wolfgang Amadeus Mozart

 

 

 

 

SCENA 1
Non sperar, se non m’uccidi
ch’io ti lasci fuggir mai.
Gente! Servi! al traditore!
Scellerato!
Come furia disperata
ti saprò perseguitar.
SCENA 3
Recitativo
Ah del padre in periglio
in soccorso voliam.
In questo loco…
Ma qual mai s’offre, oh Dei,
spettacolo funesto agli occhi miei!
Il padre… padre mio… mio caro padre…
Ah l’assassino
mel trucidò: quel sangue…
quella piaga… quel volto…
tinto e coperto dei color di morte…
Ei non respira più… fredde ha le membra…
Padre mio… caro padre… padre amato…
io manco… io moro…
Padre mio…
Duetto
Fuggi, crudele, fuggi:
lascia ch’io mora anch’io,
ora ch’è morto, oddio,
chi a me la vita diè.
Tu sei… perdon… mio bene…
L’affanno mio, le pene…
Ah il padre mio dov’è?
Ah vendicar, se il puoi,
giura quel sangue ognor.
Che giuramento, oh Dei!
Che barbaro momento!
Fra cento affetti e cento
vammi ondeggiando il cor.
SCENA 12
Quartetto
Cieli, che aspetto nobile!
Che dolce maestà!
Il suo pallor, le lagrime
m’empiono di pietà.
A chi si crederà?
Certo moto d’ignoto tormento
dentro l’alma girare mi sento
che mi dice per quella infelice
cento cose che intender non sa.
Non ha l’aria di pazzia
il suo volto, il suo parlar.
Dunque quegli?
Incomincio a dubitar.
Quegli accenti sì sommessi,
quel cangiarsi di colore,
son indizi troppo espressi
che mi fan determinar.
SCENA 13
Recitativo
Don’Ottavio, son morta!
Per pietà, soccorretemi.
Oh Dei!
Quegli è il carnefice
del padre mio.
Non dubitate più: gli ultimi accenti
che l’empio proferì, tutta la voce
richiamar nel cor mio di quell’indegno
che nel mio appartamento…
Era già alquanto
avanzata la notte,
quando nelle mie stanze, ove soletta
mi trovai per sventura, entrar io vidi
in un mantello avvolto
un uom che al primo istante
avea preso per voi…
Ma riconobbi poi
che un inganno era il mio.
Tacito a me s’appressa
e mi vuole abbracciar: sciogliermi cerco,
ei più mi stringe; grido,
non viene alcun; con una mano cerca
d’impedire la voce
e coll’altra m’afferra
stretta così, che già mi credo vinta.
Al fine il duol, l’orrore
dell’infame attentato
accrebbe sì la lena mia, che a forza
di vincolarmi, torcermi e piegarmi
da lui mi sciolsi.
Allora
rinforzo i stridi miei, chiamo soccorso,
fugge il fellon, arditamente il seguo
fin nella strada per fermarlo, e sono
assalitrice d’assalita; il padre
v’accorre, vuol conoscerlo, e l’iniquo,
che del povero vecchio era più forte,
compie il misfatto suo col dargli morte.
Aria
Or sai chi l’onore
rapire a me volse,
chi fu il traditore
che il padre mi tolse.
Vendetta ti chiedo,
la chiede il tuo cor.
Rammenta la piaga
del misero seno,
rimira di sangue
coperto il terreno,
se l’ira in te langue
d’un giusto furor.
SCENA 19
Il passo è periglioso,
può nascer qualche imbroglio.
Temo pel caro sposo
e per noi temo ancor.
Al volto ed alla voce
si scopre il traditore.
Via, rispondete.
Protegga il giusto cielo
il zelo del mio cor.
SCENA 20
Siam grati a tanti segni
di generosità!
Viva la libertà!
Io moro!
(Resister non poss’io.)
L’iniquo da sé stesso
nel laccio se ne va.
Soccorriamo l’innocente.
Ora grida da quel lato.
Ah, gittiamo giù la porta!
Siam qui noi per tua difesa.
L’empio crede con tal frode
di nasconder l’empietà.
Traditore!
Tutto, tutto già si sa.
Trema, trema, o scellerato!
Saprà tosto il mondo intero
il misfatto orrendo e nero,
la tua fiera crudeltà.
Odi il tuon della vendetta,
che ti fischia intorno intorno;
sul tuo capo in questo giorno
il suo fulmine cadrà!

 

SCENA 7
Sestetto
Lascia almen alla mia pena
questo picciolo ristoro,
sol la morte, o mio tesoro,
il mio pianto può finir.
SCENA 8
Ecco il fellone!
Come era qua!
Ah mora il perfido
che m’ha tradito!
È Donna Elvira
quella ch’io vedo?
Appena il credo!
No no, morrà!
Dei! Leporello!
Che inganno è questo!
Stupido resto…
Che mai sarà?
Mille torbidi pensieri
mi s’aggiran pel cervello;
che disordin è mai quello,
che impensata novità!
SCENA 12
Recitativo
Ma il padre, oddio!
Oh Dei! Che dite?
In sì tristi momenti…
Crudele!
Ah no, mio bene,
troppo mi spiace
allontanarti un ben che lungamente
la nostr’alma desia… ma il mondo… oddio…
Non sedur la costanza
del sensibil mio core!
Abbastanza per te mi parla amore.
Rondò
Non mi dir, bell’idol mio,
che son io crudel con te;
tu ben sai quant’io t’amai,
tu conosci la mia fé.
Calma, calma il tuo tormento,
se di duol non vuoi ch’io mora;
forse un giorno il cielo ancora
sentirà pietà di me.
SCENA ULTIMA
Ah dove è il perfido,
dov’è l’indegno?
Tutto il mio sdegno
sfogar io vo.
Solo mirandolo
stretto in catene,
alle mie pene
calma darò.
Cos’è, favella…
Via, presto, sbrigati…
Stelle! che sento!
Ah certo è l’ombra
che s’incontrò!
Lascia, o caro, un anno ancora
allo sfogo del mio cor.
Al desio di chi m’adora
Ceder deve un fido amor.
Resti dunque quel birbon
con Proserpina e Pluton;
e noi tutti, o buona gente,
ripetiam allegramente
l’antichissima canzon.
Questo è il fin di chi fa mal:
e de’ perfidi la morte
alla vita è sempre ugual.