RODOLFO – La Bohème – Puccini

RODOLFO

LA BOHÈME
Libretto by Giuseppe Giacosa, Luigi Illica for Giacomo Puccini

 

 

 

 

 

Nei cieli bigi
guardo fumar dai mille
comignoli Parigi,
e penso a quel poltrone
di un vecchio caminetto ingannatore
che vive in ozio come un gran signore.
Quelle sciocche foreste
che fan sotto la neve?
Ed io, Marcel, non ti nascondo
che non credo al sudore della fronte.
L’amore è un caminetto che sciupa troppo…
dove l’uomo è fascina
l’una brucia in un soffio…
Ma intanto qui si gela…
Fuoco ci vuole…
Eureka!
Sì. Aguzza
l’ingegno. L’idea vampi in fiamma.
No. Puzza
la tela dipinta. Il mio dramma,
I’ardente mio dramma ci scaldi.
No, in cener la carta si sfaldi
e l’estro rivoli ai suoi cieli.
Al secol gran danno minaccia…
E Roma in periglio…
A te l’atto primo.
Straccia.
Che lieto baglior.
Zitto, si dà il mio dramma.
Vivo.
La brevità, gran pregio.
Atto secondo.
In quell’azzurro – guizzo languente
sfuma un’ardente – scena d’amor.
Tre atti or voglio – d’un colpo udir.
Bello in allegra – vampa svanir.
Legna!
Le dovizie d’una fiera
il destin ci destinò.
ENTRA SCHAUNARD
Luigi Filippo!
M’inchino al mio Re!
Sta Luigi Filippo ai nostri pie’
L’esca dov’è?
Fulgida folgori la sala splendida.
Un’idea…
Ottima carta…
Si mangia e si divora un’appendice!
La vigilia di Natal!
ENTRA BENOÎT
Presto.
Tocchiamo
Alla sua salute!
Che fai?
Su e giù la nostra età.
Briccone!
L’uomo ha buon gusto.
Ei gongolava arzuto e pettorillo.
Orror!
E ammorba, e appesta
la nostra onesta
magion!
Silenzio!
Via signore! Via di qua!
… e buona sera a Vostra signoria.
ESCE BENOÎT
Io resto
per terminar l’articolo
di fondo del Castoro.
Cinque minuti. Conosco il mestiere.
Cinque minuti.
Adagio!
Colline, sei morto?
Non sono in vena.
Chi è là?
Una donna!
Ecco.
S’accomodi un momento.
La prego, entri.
Si sente male?
Impallidisce !
Ed ora come faccio?…
Così !
Che viso da malata!
Si sente meglio?
Qui c’è tanto freddo. Segga vicino al fuoco.
Aspetti.. un po’ di vino…
A Lei.
Così?
(Che bella bambina!)
Tanta fretta?
Buona sera.
Non stia sull’uscio; il lume vacilla al vento.
Oh Dio!… Anche il mio s’è spento!
Buio pesto!
Ove sarà?
Ma Le pare?…
Cosa dice, ma Le pare!
Cerco.
Ah!
No!
In verità…
Cerco!
Che gelida manina!
Se la lasci riscaldar.
Cercar che giova? Al buio non si trova.
Ma per fortuna è una notte di luna,
e qui la luna l’abbiamo vicina.
Aspetti, signorina,
le dirò con due parole
chi son, che faccio e come vivo. Vuole?
Chi son? Sono un poeta.
Che cosa faccio? Scrivo.
E come vivo? Vivo.
In povertà mia lieta
scialo da gran signore
rime ed inni d’amore.
Per sogni, per chimere
e per castelli in aria
l’anima ho milionaria.
Talor dal mio forziere
ruban tutti i gioielli
due ladri: gli occhi belli.
V’entrar con voi pur ora
ed i miei sogni usati
e i bei sogni miei
tosto son dileguati.
Ma il furto non m’accora,
poiché vi ha preso stanza
la dolce speranza!
Or che mi conoscete,
parlate voi. Chi siete?
Vi piaccia dir?
Scrivo ancor tre righe a volo.
Amici.
Non sono solo. Siamo in due.
Andate da Momus, tenete il posto,
ci saremo tosto.
O soave fanciulla, o dolce viso
di mite circonfuso alba lunar
in te, vivo ravviso
il sogno ch’io vorrei sempre sognar!
Fremon già nell’anima
le dolcezze estreme,
nel bacio freme amor!
Sei mia!
Già mi mandi via?
Che?… Mimì?
Sarebbe così dolce restar qui.
C’è freddo fuori.
E al ritorno?
Dammi il braccio, mia piccina.
Che m’ami di’…
Amore !

 

SULLA VIA
Andiamo.
Tienti al mio braccio stretta…
Vieni, gli amici aspettano.
Sei bruna e quel color ti dona.
Ho uno zio milionario. Se fa senno il buon dio,
voglio comprarti un vezzo assai più bel
Chi guardi?
All’uom felice sta il sospetto accanto.
Ah, sì, tanto!
E tu?
AL CAFFÈ
Due posti.
Eccoci qui
Questa è Mimì,
gaia fioraia.
Il suo venir completa
la bella compagnia,
perché son io il poeta,
essa la poesia.
Dal mio cervel sbocciano i canti,
dalle sue dita sbocciano i fior;
dall’anime esultanti
sboccia l’amor.
E tu, Mimì, che vuoi?
La più divina delle poesie
è quella, amico, che c’insegna amare!
È in lutto, o mia Mimì.
E via i pensier, alti i bicchier!
Beviam!
ENTRA MUSETTA
Musetta!
Gli angeli vanno nudi.
Sappi per tuo governo
che non darei perdono in sempiterno.
Marcello un dì l’amò.
La fraschetta l’abbandonò
per poi darsi a miglior vita.
Mimì !
È fiacco amor quel che le offese
vendicar non sa!
Non risorge spento amor!
La commedia è stupenda!
Il conto?
Caro!
Fuori il danaro!
Ho trenta soldi in tutto!
Paga il signor!
E dove s’è seduto
ritrovi il mio saluto!
SULLA VIA – LA RITIRATA
Viva Musetta!
Cuor birichin!
Gloria ed onor,
onor e gloria
del quartier latin!

 

RODOLFO CON MARCELLO
Marcello. Finalmente!
Qui niun ci sente.
Io voglio separarmi da Mimì.
Già un’altra volta credetti morto il mio cor,
ma di quegli occhi azzurri allo splendor
esso è risorto.
Ora il tedio l’assale.
Per sempre!
Un poco.
Mimì è una civetta
che frascheggia con tutti. Un moscardino
di Viscontino
le fa l’occhio di triglia.
Ella sgonnella e scopre la caviglia
con un far promettente e lusinghier.
Ebbene no, non lo son. Invan nascondo
la mia vera tortura.
Amo Mimì sovra ogni cosa al mondo,
io l’amo, ma ho paura, ma ho paura!
Mimì è tanto malata!
Ogni dì più declina.
La povera piccina
è condannata!
Una terribil tosse
l’esil petto le scuote
e già le smunte gote
di sangue ha rosse…
La mia stanza è una tana
squallida…
il fuoco ho spento.
V’entra e l’aggira il vento
di tramontana.
Essa canta e sorride
e il rimorso m’assale.
Me, cagion del fatale
mal che l’uccide!
Mimì di serra è fiore.
Povertà l’ha sfiorita;
per richiamarla in vita
non basta amore!
RODOLFO CON MIMÌ
Che? Mimì! Tu qui?
M’hai sentito?
Facile alla paura
per nulla io m’arrovello.
Vien là nel tepor!
Ah, Mimì!
Che! Vai?
Dunque è proprio finita?
Te ne vai, te ne vai, la mia piccina?!
Addio, sogni d’amor!…
Addio, sognante vita…
… che un tuo sorriso acqueta!
Ch’io da vero poeta
rimavo con carezze!
Soli d’inverno è cosa da morire!
Soli! Mentre a primavera
c’è compagno il sol!
Si parla coi gigli e le rose.
Al fiorir di primavera
c’è compagno il sol!
Chiacchieran le fontane
la brezza della sera.
Balsami stende sulle doglie umane.
Vuoi che spettiam
la primavera ancor?
Ci lascerem alla stagion dei fior!

 

Con pariglia e livree.
Mi salutò ridendo. To’, Musetta!
Le dissi: «e il cuor?» – «Non batte o non lo sento
grazie al velluto che il copre».
(Loiola, va! Ti rodi e ridi.)
Musetta?
L’hai vista?
Oh, guarda!
Evviva!
Ne son contento.
Lavoriam.
Che penna infame!
(O Mimì tu più non torni.
O giorni belli,
piccole mani, odorosi capelli,
collo di neve!
Ah! Mimì, mia breve gioventù!
E tu, cuffietta lieve,
che sotto il guancial partendo ascose,
tutta sai la nostra felicità,
vien sul mio cuor!
Sul mio cuor morto, poich’è morto amor.)
Che ora sia?
E Schaunard non torna?
Ebben?
Scelga, o barone;
trota o salmone?
Già sazio?
Qualche mister?
Basta!
Pavanella.
Mano alle dame.
Vezzosa damigella…
Mentre incalza
la tenzone,
gira e balza
Rigodone.
ENTRANO MUSETTA E MIMÌ
Ov’è?
Là.
Da bere.
Zitta, riposa.
Ah! mia Mimì,
sempre, sempre !
Benedetta bocca,
tu ancor mi parli!
Qui nelle mie! Taci!
Il parlar ti stanca.
Non parlar, non parlar.
Riposa.
No! No!
Ah, Mimì,
mia bella Mimì!
Bella come un’aurora.
Tornò al nido la rondine e cinguetta.
Se lo rammento!
Eri tanto turbata!
Poi smarristi la chiave…
…e cerca, cerca…
Aiutavo il destino…
Oh Dio! Mimì!
Zitta, per carità.
Riposa.
Che ha detto
il medico?
Io spero ancora. Vi pare che sia
grave?
Vedi?… È tranquilla.
Che vuol dire
quell’andare e venire,
Mimì… Mimì!
quel guardarmi così…
Mimì… Mimì!